È il più antico Doc d’Italia. Era il 1966 quando l’isola d’Ischia ottenne l’importante riconoscimento, a suggello della storia plurimillenaria della sua viticoltura.
E dell’indiscussa qualità dei suoi vini, riconosciuta al di là del mare già nel XV e XVI secolo. Vini al plurale, perché ad aver meritato la Denominazione di Origine Controllata fu l’Ischia nelle sue varie declinazioni: bianco, bianco superiore, bianco spumante e rosso. Insieme al nettare di tre vitigni storici: il più famoso e rappresentativo Biancolella, detto anche “uva greca”, che si coltiva esclusivamente sull’isola, e l’altro a bacca bianca, il Forastera, con il vitigno a bacca rossa Piedirosso, chiamato in dialetto Per ‘e palummo, perché il graspo rosso ricorda, appunto, la zampa di un piccione. 

Un primato moderno per l’isola, quello raggiunto cinquantacinque anni fa, che si aggiunge e collega al primato antico, giacchè furono i coloni greci fondatori di Pithekoussai, primo insediamento della Magna Grecia, a introdurre nella loro nuova terra la coltivazione della vite, che praticavano nella madrepatria egea. La comparsa della vite sull’isola d’Ischia risale, infatti, all’VIII secolo a.C. e a testimoniarlo ci sono le tracce inequivocabili di una vigna e della lavorazione dell’uva nel sito archeologico di Punta Chiarito, nel territorio di Forio. E a confermare quanto la cultura del vino ed il “simposio” appartenessero alla vita degli antichi pithecusani c’è la famosa Coppa di Nestore con la sua celeberrima iscrizione, che allude proprio al consumo del succo d’uva fermentato.

Da allora la vite è diventata parte integrante e caratterizzante del paesaggio, su tutti i versanti dell’isola. Dove si praticano modalità di allevamento diverse, giacchè, se tra Ischia, Campagnano e Barano, dove il clima è più umido, si utilizza la spalliera alta all’etrusca, con piante sorrette da pali di castagno o da tutori vivi alti qualche metro, dalla parte di Forio, dove piove meno, si usano la spalliera bassa e l’alberello alla greca.  È legato poi alla viticoltura anche un altro elemento caratteristico del paesaggio ischitano, ovvero i muri di pietra a secco, le cosiddette parracine, che sorreggono i terrazzamenti collinari destinati anche in zone particolarmente impervie alla viticoltura. Tanto diffusa a Ischia da impegnare un secolo fa oltre 2600 ettari di superficie, ridotti nel tempo fino agli oltre 300 di oggi: un drastico ridimensionamento quantitativo compensato, però, da un forte investimento in produzioni di qualità.