Il più famoso vulcano flegreo meta prediletta del Grand Tour
Alti getti di fango bollente, vapori sulfurei, fratture delle rocce, vene di acqua minerale, suolo in costante movimento.
Per lo storico Strabone era lì il “Forum Vulcani”, la dimora di Vulcano, in quello strano e straordinario luogo a poca distanza da Puteoli, nella terra formata e modellata dal fuoco, i Campi Flegrei. Già da lontano, a segnalarlo era un inconfondibile odore di uova marce, che giustificava la definizione di “sulpha”, terra di zolfo: la Solfatara. Il più famoso e affascinante dei tanti vulcani flegrei, oggetto di particolare interesse fin dall’antichità e frequentato nelle più diverse epoche, nonostante la non rara pericolosità dei suoi fenomeni.
Ha circa quattromila anni, la Solfatara. Risale al terzo periodo eruttivo flegreo e copre un’area di trentatré ettari nel cuore dei Campi Flegrei, a circa tre chilometri da Pozzuoli. Ė un vulcano quiescente, seppure attivo, l’unico dell’area flegrea che abbia prodotto una colata lavica verso il mare. Essendo comunque attivo, da circa otto secoli manifesta la sua vitalità con importanti emissioni gassose, fondamentale valvola di sfogo della pressione esercitata dal magma sotterraneo. Il cratere presenta una forma ellittica con un diametro di circa settecento metri e un perimetro di oltre due chilometri. La cintura che lo contorna raggiunge la massima altezza a sud, con i 199 metri del duomo lavico di Monte Olibano.
Per millenni la Solfatara è stata anche una preziosa miniera, per la varietà e la particolarità dei minerali che vi si trovano. Plinio il Giovane definì quel sito “fontes leucogei”, facendo riferimento al colore biancastro delle sue acque. Vi si estraeva il caolino o bianchetto, usato come stucco già in epoca romana. Attività proseguita intensamente anche nel Medio Evo e dopo, tanto che nella seconda metà del Seicento fu impiantata perfino una fabbrica per estrarre vari minerali, compresi zolfo ed allume.
Ancora più forte è stato nel tempo il richiamo delle proprietà medicamentose attribuite alle acque termominerali, ai fanghi e alle stufe della Solfatara. Già nel Medio Evo si pensava che le acque termali nel cratere fossero un toccasana contro la sterilità femminile e per altre patologie. Nel tempo furono create delle vasche per immergersi, poi inghiottite dalle trasformazioni della caldera e anche un pozzo per il prelievo dell’acqua termale. In due grotte naturali, appositamente ricoperte di mattoni, le Stufe Antiche, venivano sfruttate le proprietà terapeutiche dei loro vapori vulcanici, ad alte temperature, tanto che vennero chiamate una Purgatorio e l’altra Inferno. E la fangaianaturale offriva i fanghi per le cure ampiamente frequentate nell’epoca del Gran Tour, quando la Solfatara era tra le tappe obbligate per i viaggiatori che raggiungevano Napoli e la Campania tra il Settecento e l’Ottocento.
Tra le attrattive mostrate ai visitatori non mancava la Bocca Grande, ovvero la più imponente delle tante fumarole, i cui vapori sulfurei fuoriescono a 160 gradi. Sulle pareti rocciose che la circondano, dai riflessi rossastri per effetto dei minerali presenti nei vapori, vive una specie di invertebrati, la Seira Tongiorgii, identificata nel 1989, che vive solo in quel sito. Nella fangaia, invece, si trovano delle colonie di batteri Sulfolobus solfataricus, che riescono a sopravvivere a temperature superiori ai 90 gradi.
Una scoperta, quest’ultima, legata alle attività di ricerca in campo geologico e naturalistico che trovano nella Solfatara un luogo ideale per svilupparsi. Archiviate le attività estrattive e termali alla metà del Novecento, la Solfatara resta un laboratorio scientifico naturale unico al mondo, dove vengono monitorati e approfonditi gli specifici fenomeni che caratterizzano il vulcanesimo flegreo.
Ph:Eugenio Di Meglio
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