Il museo sulla collina di Capodimonte, istituito nel 1957, vanta un’origine storica legata alla nascita del Regno indipendente delle Due Sicilie.
Quel sito ancora completamente privo di edifici nella zona di San Carlo all’Arena, fuori dalle mura aragonesi, ma inglobato nella città dallo spostamento verso nord della cinta muraria voluto da don Pedro de Toledo, sotto il suo successore Pedro Giròn era sembrato ideale all’architetto Giovanni Vincenzo Casale per costruirvi le nuove scuderie che gli erano state commissionate.
Era il 1585 quando fu avviata la realizzazione dell’opera, destinata però a non andare a buon fine. Rimase, infatti, un’incompiuta e, appena dopo qualche decennio anche la sua utilità fu messa in discussione. Nel frattempo, agli inizi del nuovo secolo, nelle vicinanze era stata eretta una nuova chiesa, dedicata a Santa Teresa, sul terreno che custodiva l’antica necropoli della città di Partenope.
Fu tra il 1610 e il 1615 che l’architetto Giulio Cesare Fontana pensò di trasformare le scuderie incomplete nella sede dell’Università. Il nuovo Palazzo degli Studi aveva un aspetto imponente e raffinato, grazie alle decorazioni che valorizzavano i diversi elementi della facciata, su cui spiccavano diverse nicchie con statue alternate alle finestre.
Il cambiamento decisivo doveva arrivare un secolo e mezzo dopo, nel 1777, a seguito del trasferimento dell’università nel Real Convitto del Salvatore. In quegli anni, i due architetti di grido del momento, Ferdinando Fuga e Pompeo Schiantarelli progettarono una nuova metamorfosi: ampliare l’edificio per farne la sede del Museo che avrebbe dovuto assicurare finalmente una degna sistemazione alla Collezione Farnese, trasferita a Napoli già all’epoca di re Carlo di Borbone, e ai reperti che stavano emergendo dagli scavi dell’area vesuviana. Nell’edificio appena completato, ingrandito anche con un altro piano e dall’aspetto più severo, con lesene di piperno scuro unico elemento di spicco sul fondo rosso pompeiano poterono essere accentrati il Museo Hercolanese, che fino ad allora era stato collocato nella Reggia di Portici, il Museo Farnesiano da Capodimonte, la Libreria Pubblica, le tre Scuole per le Belle Arti e la Stanza per lo Studio del Nudo. Un concentrato di attività culturali straordinario, destinato negli anni successivi ad una ulteriore evoluzione: il 22 febbraio 1816 re Ferdinando I istituì ufficialmente il Real Museo Borbonico, in cui riuscì nell’impresa di collocare tutte le opere della Collezione Farnese, ereditate dalla nonna Elisabetta Farnese e trasferite da tempo a Napoli da Roma.
Già tra il 1821 e il 1825 l’architetto Pietro Bianchi diresse un restauro dell’edificio, ampliandone l’ala nord-orientale. Il grande Antonio Canovacreò in onore del sovrano una statua di Minerva, che fu collocata in una nicchia creata al centro dello scenografico scalone del palazzo. Che nel tempo si caratterizzò sempre di più per l’antichità delle collezioni e dei materiali che vi si andavano concentrando. Anche per merito delle donazioni di collezionisti privati. E per fare spazio alle nuove collezioni e ai reperti dagli scavi in corso nel regno, si provvide a spostare altrove le Scuole d’arte, la pinacoteca e le altre funzioni non in linea con la connotazione archeologica sempre più spiccata del museo. Divenuto “nazionale” con l’Unità d’Italia. Particolarità che fu definitivamente riconosciuta solo nel 1957 quando, dopo una lunga e complessa riorganizzazione post bellica, nacque il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, oggi noto anche con l’acronimo MANN.
Le collezioni
Ė, quello di Napoli, uno dei più grandi e importanti musei archeologici al mondo. Dodicimila metri quadri di esposizione, a cui corrispondono capienti depositi che ospitano 270mila reperti, tra i quali capolavori non meno significativi dei pezzi già inseriti nelle sezioni aperte al pubblico.
L’allestimento più antico del museo risale ai primi decenni dell’800, a cura di Michele Arditi, che impiegò per quella prima sistemazione, secondo criteri prevalentemente tipologici, oltre vent’anni. Poi, di nuovo, dopo l’Unità d’Italia, fu Giuseppe Fiorelli a cimentarsi nell’impresa, seguito agli inizi del ‘900 da Ettore Pais, che si occupò prevalentemente di singole collezioni.
Tra tutte, la Collezione Farnese è il fulcro intorno al quale è stato costituito e incrementato il museo napoletano fin dall’origine. Iniziata da Alessandro Farnese poi papa Paolo III, comprende anche il frutto dello scavo delle Terme di Caracalla del 1545, comprese le gigantesche e celeberrime sculture dell’Ercole e del Toro. Il recente riordino delle principali sezioni del MANN ha cercato di ricollocare i pezzi così com’erano esposti nelle residenze romane dei Farnese prima del trasferimento a Napoli.
Il MANN conta un patrimonio unico di antichità romane grazie ai reperti riportati alla luce nei siti vesuviani fin dalla loro scoperta archeologica proprio all’epoca di Carlo di Borbone. Di straordinario valore è la collezione di affreschi pompeiani, vero e proprio compendio della pittura parietale romana nei siti vesuviani tra il I secolo a.C. e il I d.C., con una rigorosa ricostruzione dei contesti originari, dei diversi stili e delle tecniche pittoriche corrispondenti.
Terza al mondo dopo quelle de Il Cairo e di Torino la collezione egizia di Napoli fu creata tra il 1817 e il 1821 grazie ad acquisizioni da importanti collezionisti privati insieme ai prodotti degli scavi nelle aree vesuviana e flegrea. Il nuovo allestimento segue cinque sezioni tematiche: sfera del potere, mondo dei morti, i culti e la magia, l’organizzazione socio-economica.
Nacque con il museo la sua amplissima collezione della Magna Grecia, formatasi man mano che giungevano a Napoli i materiali restituiti dagli scavi nei siti archeologici magno-greci appena scoperti a Paestum, Locri, Canosa Ruvo, Metaponto e Taranto. A questo nucleo si aggiunsero varie collezioni private, che regalarono al MANN migliaia di reperti, tra i quali dei capolavori come i crateri dalla cosiddetta tomba del Vaso di Dario da Canosa, le lastre funerarie dalla Tomba delle Danzatrici di Ruvo e tesori di oreficeria da Cuma e da Taranto. Il percorso espositivo di questa sezione, recentemente rielaborato, evidenzia i fenomeni storici collegati alla colonizzazione greca e all’interazione con le popolazioni indigene dalla fine dell’VIII secolo la conquista romana del III secolo a.C.
Di assoluto valore sono anche la Sezione Preistorica, le collezioni epigrafica, numismatica, di mosaici e di gemme, il settore topografico. Il museo in continua evoluzione ha accolto anche i prodotti dei ritrovamenti archeologici degli anni Duemila, legati agli insediamenti delle popolazioni della Piana Campana e testimoni delle loro relazioni e interazioni culturali, economiche e sociali. Ed è aperto al pubblico anche lo storico Gabinetto segreto, così battezzato dai re Borbone che vi ammettevano solo pochissimi ospiti, con 250 reperti a sfondo erotico da Pompei ed Ercolano.
Sottoterra, al di sotto del grande complesso del MANN, in corrispondenza della fermata Museo della metropolitana, si trova la stazione Neapolis, che dipende dal museo soprastante, in cui sono esposti i reperti riportati alla luce dagli scavi per la costruzione delle altre stazioni metro nel centro cittadino.
Informazioni utili
Orari di apertura: il museo è aperto tutti i giorni, fatta eccezione per il martedì, dalle ore 9:00 alle ore 19:30
Biglietto intero: 22€
Biglietto ridotto: 2€
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