Un promontorio che porta scritta nelle sue rocce stratificate la storia geologica della “terra ardente”. A guardia dello stretto di mare che introduce nel golfo di Napoli e separa la Penisola flegrea dall’isola di Procida di cui porta il nome.
image0 2E alla quale quel tratto di costa continentale ha legato per secoli il suo destino.Tanto da conservarne traccia nella sua denominazione ufficiale, Monte di Procida, anche dopo l’autonomia amministrativa conquistata con uno storico referendum nel 1907.

Quell’altura a picco sul mare, con una visuale amplissima dalla Penisola sorrentina fino al Circeo e alle isole Pontine e dotata varie possibilità di approdo, aveva tutte le caratteristiche utili e necessarie per essere abitata fin dalle epoche più antiche. E infatti fu scelta già nel Neolitico, per poi accogliere uno degli insediamenti di Cuma, potenza in ascesa che, grazie a quel villaggio in posizione strategica sul mare, poté rafforzare il suo controllo sulle rotte per il Tirreno centro-settentrionale. Così, finché la città greca fu in auge, il promontorio fu identificato con il Monte Cumano citato da Dionigi di Alicarnasso nel VI secolo a.C. Poi, quando in epoca romana Miseno, con il suo importantissimo porto, divenne “municipium”, anche la denominazione cambiò in Monte Miseno. Allora, per la prima volta, furono apprezzati i punti più panoramici della “terrazza dei Campi Flegrei”, dove i ricchi romani edificarono splendide ville d’otium. In età imperiale, la significativa presenza di ebrei tra i marinai della flotta di stanza a Miseno favorì una precoce diffusione del cristianesimo nell’area flegrea. Ė certo che gli apostoli Pietro e Paolo approdarono su quei lidi e visitarono le comunità cristiane di Torregaveta e di Miseno, a cui in seguito appartenne il diacono Sossio, martirizzato alla Solfatara con il vescovo Gennaro nel 305.

Dissoltosi l’impero romano, per difendere la popolazione e il territorio dai continui attacchi dei barbari, il monte fu trasformato in castrum con la realizzazione di una cintura di fortificazioni che si spingevano fino al mare. Al tempo del Ducato napoletano, il perdurante stato di guerra, unitamente alle scorrerie saracene, impoverì la popolazione e provocò un progressivo spopolamento. La distruzione di Miseno dell’850 spinse gran parte di quanti restavano a trasferirsi sulla dirimpettaia isola di Procida, al cui territorio venne aggregato amministrativamente anche il monte. Dove, rimasti pochissimi contadini, tornò padrona la natura con una vegetazione sempre più fitta. Perciò nel XV secolo re Ferdinando I fece del Monte una riserva di caccia reale. 

Fu nel Seicento che iniziò un flusso al contrario, da Procida al Monte, dove poco a poco i terreni di proprietà dell’arcidiocesi di Napoli, dissodati e terrazzati, furono di nuovo destinati all’agricoltura. Vi venivano coltivati soprattutto grano e viti e il vino montese divenne molto apprezzato. Ripresi la navigazione e i commerci, si verificò un incremento demografico che proseguì anche nel secolo successivo. E l’abitato si sviluppò tra l’altura e la costa, dove fu innalzata anche una chiesa, che poi sarebbe diventata la chiesa madre del Monte, dedicata alla Madonna Assunta. Davanti all’edificio sacro, nel 1799 un olmo divenne l’Albero della Libertà simbolo dell’adesione alla Repubblica Napoletana. E in quello stesso luogo, al ritorno dei Borbone, fu giustiziato Stefano Coppola, il martire per la libertà di origine montese.

Fu ai primi del Novecento che gli abitanti del Monte cominciarono a rivendicare autonomia da Procida, a cui erano ancora sottoposti. Dopo varie vicissitudini raggiunsero l’obiettivo con il referendum del 27 gennaio 1907. La richiesta da parte montese di denominare il nuovo Comune Nuova Cuma, però, non fu accolta e prevalse la conferma nel nome del legame con Procida. Poi, nella seconda metà del secolo, dal territorio montese iniziò una nuova, imponente emigrazione verso gli Stati Uniti, che ebbe come destinazioni privilegiate le città della costa atlantica.

La gran parte degli emigrati e dei loro discendenti è ancora molto legata alla cittadina d’origine e al culto dell’Assunta, tanto da assicurare un’ampia partecipazione agli annuali festeggianti del 15 agosto intorno alla chiesa più antica, dedicata a Maria Santissima Assunta che, edificata nel XVII secolo, fu successivamente ampliata e ristrutturata a più riprese, di pari passo con l’aumento della popolazione. Così, nel 1742 fu aggiunta alla struttura originaria una seconda navata; nel 1776 furono sistemati il nuovo altare.  l’organo e inseriti vari stucchi e ornamenti; nel 1853, con l’elevazione a parrocchia, furono aggiunti la terza navata, il cappellone, la sagrestia e la casa canonica. Nel 1882, infine, fu costruito il campanile dotato di un orologio. Di particolare valore, anche affettivo per i fedeli, è l’immagine della Madonna, rinvenuta sulla spiaggia, che si ritiene miracolosa. 

Tra i monumenti di Monte di Procida c’è l’antica masseria trasformata in villa ai primi del ‘900 dall’avvocato Agostino Matarese, con interni impreziositi da splendide decorazioni in stile liberty e, tutt’intorno, un grande parco fiorito. Ma i principali attrattori sono i belvedere, che consentono di ammirare tra terra e mare i panorami unici del Golfo di Napoli e delle isole. Tra i luoghi più celebrati, il belvedere Stupor Mundi, lungo la strada tra il centro storico e la spiaggia di Miliscola, che inquadra il panorama del Capo e del lago Miseno con la costa flegrea fino al Vesuvio. Di grande suggestione è anche la passeggiata sulla banchina del porticciolo di Acquamorta. L’impressione di camminare sul mare è resa ancora più particolare dalla vicinanza dell’isola di Procida, dietro la quale s’innalzano l’Epomeo e le colline dell’isola d’Ischia, mentre a destra si ammira l’isolotto di San Martino.

Ph: Martina Iacuaniello