Gli antichi lo veneravano come divinità delle acque e lo rappresentavano con una fluente barba bianca e, tra le mani, un vaso da cui sgorgava acqua preziosa. Il Sarno era allora molto diverso dal fiume attuale, oltre che limpido e pescoso.
A cambiare notevolmente il suo corso, oggi di 24 chilometri, fu per prima la natura, con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che stravolse la sua valle. Poi, nelle epoche successive, a varie riprese e in diversi tratti, ci hanno pensato gli uomini. Tutto a causa della bassa altitudine delle cinque sorgenti nei Comuni di Sarno e di Nocera Inferiore da cui ha origine nel gruppo montuoso di Sant’Angelo-Pizzo d’Alvano, nella catena dei Monti Picentini, ricchi di torrenti che alimentano il più grande bacino di acqua potabile del Mezzogiorno. La bassa pendenza ha sempre provocato problemi e rallentamenti al deflusso delle acque, oltre all’accumulo di detriti nell’alveo, causa nei secoli di varie esondazioni. Per evitarle sono state realizzate opere di regimazione sia sull’alto che sul basso Sarno, che non sempre hanno prodotto gli effetti progettati e sperati, anzi talvolta hanno anche peggiorato la situazione di partenza. Raccolti i contributi di vari affluenti, dopo aver attraversato Scafati e compiuto l’ultimo tratto del suo corso, si getta nel Golfo di Napoli, davanti allo Scoglio di Rovigliano.
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