I lavori per la chiesa madre cominciarono nel 1113 e proseguirono per quarant’anni, fino al 1153, quando avvenne la consacrazione.
Ci furono in seguito altri interventi, che arricchirono dal punto di vista architettonico la struttura originaria o che, come nel Settecento, la modificarono radicalmente con perdite artistiche pesanti. 

Già nella prima versione, la chiesa madre casertana, intitolata a San Michele arcangelo, si presentava come una armoniosa sintesi di romanico, con influenze da varie parti d’Italia, e di arabo-normanno siciliano, mutuato probabilmente da Amalfi. Con i rimaneggiamenti del XIII secolo si aggiunse anche il gotico. Poi, nel XVII secolo, l’irruzione del barocco, che prevalse a scapito di tanta parte delle opere precedenti. per essere poi, a sua volta, sacrificato al radicale restauro che un secolo fa ripristinò il romanico.

Realizzata in tufo grigio campano dai riflessi dorati, sulla facciata risaltano per contrasto i tre portali in marmo bianco. L’interno, a tre navate, presenta una pianta a croce commissa (il Tau) con la navata centrale caratterizzata dal soffitto a capriate ed evidenziata da diciotto colonne di marmo cipollino con capitelli tutti diversi che, secondo la leggenda, sarebbero state recuperate a Calatia e trasportate nella nuova chiesa dalle fate dei Monti Tifatini. Le colonne sorreggono archi a sesto acuto. Come quello che collega la navata centrale al transetto a tre absidi dalla volta a crociera, con una cupola dagli elementi arabi che la avvicinano all’omologa del duomo di Salerno. Tra le opere d’arte, si segnalano gli affreschi della cappella trecentesca, gli unici scampati alla distruzione causata dalla riconversione barocca, un Crocifisso di legno di autore ignoto sull’altare centrale, un affresco quattrocentesco con l’immagine della Vergine col Bambino, e due monumenti funerari ispirati alle opere di Tino da Camaino. All’esterno, a destra dell’ingresso, si staglia contro il cielo con i suoi trentadue metri un magnifico campanile del 1234.