Un luogo di silenzio e meditazione. E anche di fascinazione artistica. Che ha dato il nome a una delle più famose strade di Napoli, meta obbligata per chiunque visiti la città: San Gregorio Armeno.
Già, la via naturalmente associata alla tradizione del presepe ospita da tempi molto più remoti una chiesa e un complesso monastico legati al culto del primo patriarca e artefice della diffusione del Cristianesimo in Armenia agli inizi del IV secolo, ovvero San Gregorio. Nome che in napoletano antico veniva pronunciato come Liguoro o Ligorio e così veniva anche indicata l’omonima strada, che poi è uno dei cardini di collegamento tra il decumano superiore e l’inferiore, proprio nel cuore della Napoli patrimonio Unesco.

Secondo la leggenda, ad edificare un primo edificio sacro sarebbe stata Sant’Elena, la madre dell’imperatore Costantino. In realtà, fu nel VII secolo che sulla Strada Nostriana, dove sorgeva un ospedale per i poveri, l’allora vescovo Agnello, poi divenuto Santo, fece edificare in onore di San Gennaro una chiesa, che da un albero presente nella vicina piazza prese il nome di San Gennaro all’Olmo. Fu lì che circa un secolo dopo si fermarono le monache basiliane che erano dovute fuggire da Costantinopoli sull’onda della persecuzione iconoclasta. Con loro conducevano importanti reliquie di San Gregorio e il cranio di San Biagio. E furono loro a fondare a poca distanza da quel primo rifugio, nella parte mediana della strada dove in epoca romana sorgeva il tempio di Cerere Attica, una nuova chiesa, dedicata a San Gregorio, in cui trovò sede anche il culto di Santa Patrizia, a cui erano molto devote. A portarle a Napoli era stata proprio la storia della nipote di Costantino II che, originaria di Costantinopoli, era naufragata sull’isolotto di Megaride (attuale Castel dell’Ovo) nel VII secolo e si era poi distinta in città per le sue opere a favore dei bisognosi, prima di morire nel 685 appena ventunenne. Così, da allora, la venerazione nei suoi confronti era andata continuamente crescendo.

Nell’anno Mille, in epoca normanna, accanto alla chiesa di San Gregorio le monache fecero edificare un nuovo convento, in cui venne adottata la regola benedettina. Per realizzare la struttura, furono accorpati quattro oratori vicini, compreso quello di San Pantaleone, sul lato opposto della strada. Ciò che rese necessaria la costruzione di un cavalcavia, che è ancora oggi uno degli elementi distintivi di via San Gregorio Armeno. Sopra di esso s’innalza il campanile, di cui si distinguono tre ordini sovrapposti, dotati di finestre e terminanti con una cuspide.

La chiesa e le sue trasformazioni

Dopo il Concilio di Trento, che aveva reso molto stringenti le regole della clausura, si mise mano al totale rifacimento del complesso religioso. La chiesa fu ricostruita su progetto di Giovanni Francesco Mormando, sotto la direzione di Giovanni Battista Cavagna e Giovanni Vincenzo Della Monica. La consacrazione del nuovo tempio, intitolato a San Gregorio, avvenne n l 1579, come ricorda un’iscrizione posta all’ingresso, subito dopo l’imponente portone di legno. L’anno dopo avvenne, invece, l’apertura al pubblico. L’edificio si presentava a navata unica senza transetto, con cinque cappelle per lato. Il presbiterio rettangolare era sormontato da una semicupola, che all’esterno era coperta di maioliche. Il pregevole pavimento di marmo era una creazione di Domenico Fontana, mentre il prezioso soffitto di legno a cassettoni era stato realizzato da Dirk Hendricksz, che a Napoli, dov’era giunto da Anversa nel 1573, era noto come Teodoro D’Errico o, più semplicemente come ‘o fiammingo. Lui e gli artisti della sua rinomata bottega dipinsero le Storie del Battista, San Benedetto e altri Santi.

Nello spazio compreso tra il coro originario e il tetto, fu creato allora anche il cosiddetto “coro d’inverno”, che consentiva alle monache di assistere alle celebrazioni religiose dall’esterno della chiesa. Un’apertura protetta da una grata al di sopra dell’altare maggiore consentiva alle religiose di osservare tutta la chiesa. 

Un ulteriore, importante passaggio coincise, nel ‘600, con interventi di abbellimento degli interni della chiesa. Per il numero e la qualità delle opere a sua firma, Luca Giordano fu tra i maggiori artefici della magnificenza artistica della chiesa. Nel 1684 l’artista dipinse ad affresco le cinquantadue scene della controfacciata. Tre i temi sviluppati da Giordano: a sinistra, L’arrivo sul lido di Napoli di monache armene; al centro, La traslazione del corpo di san Gregorio e, a destra, L’accoglienza dei napoletani alle monache. Suoi anche gli affreschi della cupola, composti nel 1671. Sempre seicentesca, un’ancona marmorea sovrasta l’altare maggiore. Ė opera di Dionisio Lazzari, e incornicia il dipinto di Giovanni Bernardo Lama raffigurante l’Ascensione, del 1574. Non mancò neppure la mano di Cosimo Fanzago, che nel 1637 cambiò aspetto alla prima cappella a destra con ornamenti in marmo, a cui si aggiunsero le tele di Francesco Di Maria e Niccolò De Simone e leStorie di San Gregorio di Francesco Fracanzano.  Poi il ‘700 segnò la definitiva trasformazione roccocò della chiesa, con l’inserimento di ulteriori stucchi, marmi pregiati e dipinti.

Il monastero del chiostro e le delizie dolci

Intanto era stato ricostruito anche il monastero, ingrandito per accogliere altre monache e dotato di nuovi spazi comuni. L’accesso da vicolo Maffei è attraverso uno scenografico scalone di piperno, adorno di opere di Giacomo dal Po. Di grande impatto scenografico il chiostro, progetto di Vincenzo Della Monica, con un giardino dei semplici e l’orto. E ad adornarlo, al centro, una grossa fontana con due statue di Gesù e della Samaritana al pozzo di Matteo Bottigliero. Per rendere meno afflittivo l’isolamento imposto dalla clausura, vi furono progettati cinque belvedere, che permettevano alle monache di guardare all’esterno da diverse prospettive. Passato il chiostro, si incontra la Cappella della Madonna dell’Idria, che identifica la parte più antica della struttura, sopravvissuta alle successive trasformazioni e adorna dei dipinti di Paolo De Matteis.

Nella grande cucina del monastero, dove venivano preparati dolci da regalare alle famiglie nobili da cui provenivano gran parte delle religiose, sarebbe nata la pastiera e, complice il pittore Giacomo dal Po, e sarebbe stata perfezionata la cassata napoletana tipica del Natale.

Per costruire il convento e la chiesa fu utilizzato tufo scavato al di sotto degli edifici e recuperato attraverso un pozzo, che nei secoli successivi fu utilizzato anche come via di fuga in caso di pericolo. Quel pozzo è collegato ai percorsi della Napoli Sotterranea.

Il culto di Santa Patrizia

Custodito e tramandato dalle monache fin dal loro arrivo a Napoli, la chiesa di San Gregorio Armeno è il centro del culto di Santa Patrizia di Costantinopoli. Nella quinta cappella a destra sono onorate le spoglie della Santa, compatrona di Napoli con San Gennaro. Con cui condivide anche il miracolo della liquefazione del sangue, raccolto nelle ampolle custodite nella stessa cappella. Le celebrazioni per il miracolo si svolgono ogni martedì e il 25 agosto, ricorrenza della Santa protettrice di naviganti e partorienti.

 


Informazioni utili 
Dal Lunedì al Venerdì, dalle 09:30 alle 13 e dalle 15,30 alle 18;
Sabato, domenica e festivi, dalle 10 alle 13;
Il prezzo del biglietto è di €4 intero e €3 ridotto per scolaresche. Gratuito per bambini fino a 5 anni e adulti over 65.